Alla fine del pranzo si cantava e, dopo un po', chi voleva andava a ballare. Si ballava in genere in una stalla addobbata e preparata per l'occasione dagli amici e qualche volta anche nel cortile. Le pareti erano ornate con fiori di carta crespa, coccarde e rami di pino. Il soffitto era attraversato da catene fatte con anelli di carta colorata e da festoni ottenuti torcendo strisce di carta crespa. Ben visibile era poi appeso un cartello con la scritta: ''VIVA GLI SPOSI!".
Dopo i festeggiamenti fatti dai giovani alla porto, gli invitati si dirigevano verso la casa dello sposo, dove sarebbe stato servito il pranzo di nozze. La mamma dello sposo aveva il compito di accogliere la nuora che entrava a far parte della famiglia. Secondo la tradizione (che si è mantenuta fino agli anni '30) l'incontro tra le due donne doveva essere modulato e scandito da alcuni atti simbolici.
Mentre in chiesa si celebravano le nozze, i giovani della frazione dello sposo (aiutati anche da coloro che erano già sposati) allestivano la porto. Quest'ultima doveva essere infatti una sorpresa e insieme un gesto di accoglienza e di benvenuto; non poteva dunque essere vista dagli sposi prima del matrimonio. Si trattava di una sorta di corridoio-galleria di coperte e lenzuola che terminava in quella che i testimoni chiamano stançiëtto o mizounëtto (stanzetta o casetta).
Sul sagrato le ragazze cantavano una canzone agli sposi, oppure una di loro leggeva una poesia. Entrava in chiesa per prima la sposa, sempre accompagnata dal fratello, poi i parenti di lei, che si disponevano a sinistra, e quelli di lui, che si mettevano a destra.
La chiesa era addobbata con mazzi di fiori, ma non in modo sfarzoso; a volte era lo stesso sacerdote o la gente del paese ad occuparsene. Quando uscivano dalla chiesa, i bambini recitavano una poesia per gli sposi.
Il giorno del matrimonio lo sposo andava a prendere la sposa. Alcuni offrivano già qualcosa da bere prima di partire, altri riunivano semplicemente i propri parenti e amici per poi dirigersi tutti insieme verso la casa della sposa. Insieme ai parenti dello sposo partivano anche i suonatori, perché generalmente era lui a sostenerne le spese. Lo strumento tradizionale era I'armoni, mentre, in tempi più recenti, venivano utilizzati fisarmonica e clarino. Nella prima metà del secolo i suonatori erano tutti di Ostana, poi, man mano, furono sostituiti da quelli dei paesi della bassa valle.
Fino agli anni '40 entrambi gli sposi erano vestiti di nero. La sposa indossava a volte un soprabito e il capo era coperto dalla couefo da ëspouzo (velo da sposa), nera e larga; il suo vestito poteva avere un colletto bianco o essere bordato di bianco. Lui portava un cappello nero a tesa larga, un completo, una camicia bianca e la cravatta nera.
Secondo le testimonianze dei più anziani, la sera del giorno in cui era stata fissata al data del matrimonio, le due famiglie si accordavano sui festeggiamenti delle nozze e sul numero degli invitati. Discutevano anche della doto (dote) e del fardél (corredo) della ragazza.
In questo secolo, al fidanzamento ufficioso ne seguiva uno più ufficiale. Non era un evento accompagnato da una cerimonia particolare ma si trattava più semplicemente di una sorta di tacito accordo tra i due ragazzi che avveniva quando lui regalava un anello (la lionso) a lei.
Prima dell'emigrazione degli anni '50 e '60, i matrimoni ad Ostana avvenivano quasi sempre tra ragazzi del luogo, spesso della stessa frazione.
Nelle sere d'inverno i principali luoghi di incontro dei giovani erano le stalle dove si andava a vëlhà.